“La meditazione è una delle più grandi arti della vita, forse la più grande, e non la si può imparare da nessuno, questa è la sua bellezza. Non c’è tecnica e quindi non c’è autorità. Quando imparate a conoscervi, quando vi osservate, osservate il modo in cui camminate, in cui mangiate, quello che dite, le chiacchiere, l’odio, la gelosia, l’essere consapevoli di tutto dentro di voi, senza alternativa, questo fa parte della meditazione.”Jiddu Krishnamurti
La parola meditazione porta con sé una contraddizione: c’è un oggetto della meditazione. Questo era ciò che i latini intendevano con la parola meditazione: si può meditare su un problema politico o su un aspetto della nostra personalità, quindi la nostra mente pensa e si concentra su questo tema. La parola Dhyana in sanscrito (malamente tradotta in meditazione) descrive un esperienza che non può essere spiegata con la mente razionale perché non c’è oggetto di Dhyana, non c’è neppure soggetto, ovvero colui che medita, perché nell’esperienza di Dhyana il nostro ego scompare e non siamo più identificati con una forma-pensiero. Potranno sembrare concetti astratti ai più ma un esperienza non si può insegnare, una tecnica si, è come spiegare il dipinto della cappella sistina (colori e caratteristiche) o tentare di trasmettere l’esperienza di stare con lo sguardo verso l’alto persi nella meraviglia, le nostre parole non riusciranno mai a descrivere a una persona cosa abbiamo provato, sarebbe molto meglio accompagnarla sul luogo e farle provare la stessa esperienza. Questo portare la persona verso il luogo viene detta tecnica di meditazione, ma l’esperienza non può essere insegnata e trasmessa anche perché sarà diversa da persona a persona. Quest’esperienza può essere raggiunta attraverso due metodologie: concentrazione e contemplazione (vedi emisfero destro e sinistro). La concentrazione è fissare la mente su un solo punto e la contemplazione è osservare tutto senza fissarsi su nulla in particolare ed è inevitabilmente legata ai nostri sensi che riceveranno odori, suoni, gusti, temperature e attrito sulla pelle.
La meditazione avviene nel mezzo, in anatomia diremmo nel corpo calloso, ovvero quel ponte di fibre nervose che connette l’emisfero destro con il sinistro, questo può avvenire solo quando l’attività cerebrale dei due emisferi è in perfetto equilibrio. In termini logici potremmo dire che Dhyana è la concentrazione sul tutto o la contemplazione del vuoto: chiaro no?
Per capirci meglio ricordiamo che quando si entra nella vera meditazione non si creano ricordi; se abbiamo delle visioni o se visualizziamo dei colori la nostra mente è ancora attiva, potremmo essere connessi con qualche tipo di energia che razionalizziamo dandole una forma o un colore particolare, questo avviene anche con l’utilizzo delle piante ad esempio (vedi piante Enteogene); dopo aver meditato invece ci accorgiamo che il tempo è passato ma è come se non fosse successo nulla. Adesso ti starai chiedendo: perché dovrei meditare? Per la psicologia moderna esistono 3 stadi dell’essere:
- Sonno con produzione di sogni (la famosa fase REM).
- Sonno profondo dove ci dimentichiamo chi siamo, il nostro lavoro, la nostra età, sesso, provenienza, non siamo più connessi con il nostro archivio di memoria: anche se i cicli sono corti circa 10 minuti, bastano per salvare la nostra mente, saltando questi cicli (circa 3 per notte) entreremmo nella schizofrenia dopo la terza o quarta notte, quindi non serve ribadirne l’importanza.
- Veglia: lo stato in cui crediamo di essere svegli. Per gli yogi questo stadio viene definito veglia sognando, cioè quando non viviamo nel presente, svolgiamo un azione ma pensiamo al futuro o al passato, non siamo concentrati o non stiamo contemplando al 100%. Per questo per lo yoga esiste un quarto stato.
- Veglia profonda: presenza, illuminazione sono solo sinonimi, siamo veramente svegli e attenti, non pensiamo mai al futuro o al passato (a meno che sia strettamente necessario per pianificare o ricordare qualcosa) ma siamo presenti con il corpo la mente e lo spirito nel momento presente.